Corriere della Sera | di Laura Cuppini
Batteri resistenti agli antibiotici: un problema gravissimo di cui molto si parla e che riguarda in particolare i soggetti più fragili dal punto di vista immunitario. Come i neonati, per i quali le infezioni rappresentano una delle principali cause di mortalità e malattia. Dei 4 milioni di decessi in epoca neonatale che avvengono ogni anno nel mondo, il 36% (1,4-1,5 milioni), sono causati da patologie infettive. Un recentissimo studio americano (Clock e coll., 2016) su 1.320 neonati ricoverati in terapia intensiva ha dimostrato che il 9% era colonizzato da batteri portatori di almeno una resistenza e che l’uso prolungato di antibiotici si associava a un aumentato rischio di presenza di questi super germi.
Per questo la Società Italiana di Neonatologia (SIN) condivide l’allarme lanciato dagli esperti. «La storia della scoperta di nuove classi di antibiotici ci insegna che l’emergere di resistenze avviene naturalmente non appena l’antibiotico viene utilizzato – afferma Mauro Stronati, presidente della SIN -. Il quadro che emerge è quello di un mondo in cui l’arsenale per combattere i microrganismi è sempre più povero di mezzi: da un lato lo scarso investimento delle industrie farmaceutiche nella scoperta di nuove molecole, dall’altra la circolazione su scala mondiale di batteri resistenti a pressoché tutti gli antibiotici già in commercio. È necessaria una presa di coscienza individuale e collettiva sul fenomeno, ma principalmente l’adozione di un protocollo rigoroso all’interno degli ospedali e nelle cure che prevedono l’impiego di antibiotici».
L’Italia è tra i Paesi più a rischio perché è tra quelli dove i batteri, a causa dell’uso massiccio di antibiotici negli ultimi decenni, sono divenuti più resistenti. Secondo l’European Centre for Disease Prevention and Control, il nostro Paese è al quinto posto per utilizzo giornaliero di questi farmaci dopo Grecia, Francia, Lussemburgo e Belgio. Gli antibiotici costituiscono la difesa più importante ed efficace a nostra disposizione per limitare le conseguenze a volte devastanti delle gravi infezioni, ma vengono spesso usati in modo eccessivo e non sempre corretto. Secondo i neonatologi italiani il problema delle resistenze batteriche va affrontato a livello locale e globale, prevenendo le infezioni e promuovendo la scoperta di nuove molecole attraverso programmi di ricerca e stabilendo accordi con le case farmaceutiche.
L’approccio, secondo la SIN, deve essere basato su quattro principi. Innanzitutto il riconoscimento del problema da parte degli organi di controllo e dei governi. L’Italia si è già attivata con il ministro della Salute Beatrice Lorenzin che ha confermato «il riconoscimento di questa emergenza come una priorità di sanità pubblica». In secondo luogo avviare partnership tra pubblico e privato per la scoperta di nuovi antibiotici. Il terzo, ma non meno importante aspetto, è la prevenzione delle infezioni con vaccini e misure di igiene personale (lavaggio delle mani) e nelle strutture. Infine la necessità di un programma nazionale di accesso agli antibiotici per tutti coloro che ne hanno bisogno ma con priorità di accesso ben definite: uso principalmente medico (limitando l’uso animale); prescrizione basata sulla diagnosi; accesso agli antibiotici definito dai programmi di «stewardship» (task force di lavoro all’interno degli ospedali dove intervengono diversi specialisti con differente e complementare esperienza nell’ambito della terapia antibiotica).
Tra i microrganismi che generano infezioni antibiotico-resistenti ci sono lo stafilococco aureo meticillino-resistente, l’enterococco resistente alla vancomicina, lo Pseudomonas aeruginosa resistente ai fluorochinoloni. Ancora più preoccupante è l’emergenza causata da microrganismi multi- o pan-resistenti (varie specie batteriche tra cui Pseudomonas, Klebsiella, E. coli, Acinetobacter, Enterobacter) che possono acquisire fattori di resistenza a pressoché tutti gli antibiotici attualmente in commercio. Tali superbatteri possono diffondersi molto rapidamente. I microrganismi multi-resistenti patogeni per l’uomo vengono solitamente isolati all’interno degli ospedali, a volte in corso di epidemie, anche con l’involontario aiuto degli operatori sanitari. Negli ultimi anni molto lavoro è stato compiuto per promuovere l’utilizzo di mezzi semplici ed efficaci di prevenzione quale il lavaggio delle mani, e molto è ancora da fare per prevenire la trasmissione ospedaliera delle infezioni. Dai singoli ospedali o centri di cura il rischio di diffusione ad altri centri dello stesso o di altri Paesi è elevatissimo.